Come vedono i cani e i gatti?
Tra i sensi del cane e del gatto, la vista è senza dubbio tra i più sviluppati. Le capacità visive degli animali, infatti, sono una delle caratteristiche che li rendono così speciali. Cerchiamo di capire come vedono i cani e i gatti e come mai la loro vista è così sviluppata.
Quando parliamo delle abilità degli animali, da quelli di casa fino agli animali selvatici, spesso cerchiamo di trovare una spiegazione scientifica e razionale per gli aspetti che tanto ci stupiscono.
In realtà le spiegazioni possono diventare automatiche semplicemente pensando al ruolo che ciascuno di questi animali riveste in natura.
È chiaro che un predatore dovrà possedere e sviluppare delle capacità ben diverse rispetto a quelle di una preda.
Per fare un esempio, i grandi predatori della natura, come tigri e leoni, devono riuscire soprattutto a correre rapidamente, saltare e concentrarsi sulla preda. La dentatura e gli artigli sono sviluppati proprio in modo da favorire la cattura della preda.
Al contrario, le prede devono avere delle caratteristiche fisiche tali da consentir loro di fuggire quando vengono attaccate. Per questo motivo hanno spesso un corpo leggero, per poter correre molto velocemente. Basta pensare, ad esempio, alle antilopi o alle gazzelle, da sempre note per la loro estrema velocità nella corsa.
L’aspetto principale, però, che differenzia le prede dai predatori è legato soprattutto ai sensi, ed in particolare alla vista.
Prima di parlare delle diverse caratteristiche visive tra prede e predatori, vediamo prima in cosa consiste la vista e come fanno gli occhi a catturare delle immagini provenienti dall’esterno.
Come funziona la vista
La vista è il senso che ci permette di captare la luce che proviene dall’esterno, trasformandola in immagini ben precise.
Gli occhi sono l’organo specializzato per questo compito, ma per poter funzionare correttamente devono collaborare con i nervi e il cervello.
L’occhio è un organo sferico inserito all’interno del cranio, precisamente nei bulbi oculari. È formato da diverse parti, interne ed esterne:
- Cornea: è un sottile strato trasparente che riveste la parte più esterna dell’occhio. In realtà la cornea è la porzione più piccola del rivestimento esterno, perché lateralmente e posteriormente prende il nome di sclera;
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Iride: è la parte colorata dell’occhio, posta nella parte anteriore, al di sotto della cornea;
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Pupilla: è il puntino nero che troviamo al centro dell’occhio. In realtà non è altro che un piccolo foro al centro dell’iride;
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Cristallino: è situato subito dietro la pupilla e l’iride. È molto importante, perché rappresenta la lente dell’occhio, che consente di mettere a fuoco le immagini curvandosi e modellandosi di continuo;
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Retina: è il rivestimento interno dell’occhio. Lo troviamo solo posteriormente al globo oculare, quindi non possiamo vederlo dall’esterno. È una parte fondamentale dell’occhio, perché comprende i coni e i bastoncelli, delle strutture essenziali per inviare degli stimoli al nervo ottico, che si trova proprio al centro dell’occhio e attraversa la retina. E' attraversata da vasi sanguigni e nervi;
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Coni e bastoncelli: la definizione vera e propria di queste strutture è “fotorecettori”, proprio perché recepiscono la luce e la trasformano in energia elettrica che viene trasmessa ai nervi. I coni si occupano della visione dettagliata dei colori, mentre i bastoncelli della visione dei toni del grigio al buio e in movimento;
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Tapetum lucidum: questa struttura non è presente nell’uomo, ma solo nel gatto, nel cane e in altri animali. Avete mai fatto caso allo strano effetto che si ottiene fotografando un gatto con il flash? Gli occhi diventano luminosissimi, proprio come i fari abbaglianti di una macchina. La ragione di questo fenomeno è dovuta proprio alla presenza del tapetum lucidum. Questo è un sottile strato posto all’interno o subito dietro la retina. Ha delle proprietà altamente catarifrangenti, per cui riesce a riflettere la luce che entra nell’occhio, rimandandola verso la retina, in modo da aumentare lo stimolo luminoso per percepire più immagini anche durante la notte. L’effetto è lo stesso che si ottiene direzionando una lampada verso uno specchietto.
Quando la luce entra nell'occhio, attraversa la pupilla fino a raggiungere la parte posteriore dell’occhio. I coni e i bastoncelli presenti nella retina, quindi, catturano la luce e la trasformano in energia elettrica che si propaga lungo il nervo ottico.
Questo nervo ha il compito di collegare l’occhio con il cervello, propagando lo stimolo fino a questo punto. Una volta uscito dal bulbo oculare, il nervo ottico si incrocia nel cosiddetto “chiasma ottico”, dove l’immagine catturata dall’occhio sinistro “viaggia” verso la metà destra del cervello, e viceversa.
Una volta raggiunto il cervello, lo stimolo elettrico che ha attraversato i due nervi ottici viene trasformato in un’immagine, così come la percepiamo continuamente.
Il cervello deve elaborare l’immagine ottenuta, calcolandone una lunga serie di aspetti. Tra questi rientra soprattutto la profondità, che consente di valutare a quale distanza ci troviamo rispetto ad ogni singolo oggetto presente nell’immagine.
Tutto questo è possibile perché la nostra vista è detta “binoculare” o “stereoscopica”. Gli occhi, seppur vicini tra loro, sono comunque posizionati in due punti diversi, per cui l’immagine catturata da un occhio sarà necessariamente diversa rispetto a quella percepita dall’altro. Al contrario, la visione "monoculare" è quella in cui un solo occhio riesce a percepire una fetta di campo visivo, mentre l'altro no, per questioni di strabismo o per la posizione degli occhi sulla testa.
Il cervello fonde le due immagini ottenute solo se identiche, le elabora e ne calcola la profondità e la posizione dei singoli oggetti. Affinché ciò si verifichi, è necessario che gli occhi riescano a guardare contemporaneamente lo stesso identico punto, per cui la profondità non viene rilevata nella visione monoculare.
La vista nelle prede
Per quanto riguarda le prede, la loro vista possiede delle caratteristiche che devono aiutarli soprattutto a poter localizzare la minaccia in arrivo. Tra queste caratteristiche, le principali includono:
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Occhi posizionati lateralmente rispetto al viso: in questo modo possono avere una visione panoramica di quello che li circonda, con un campo visivo di quasi 350°, nettamente superiore rispetto ai nostri “scarsi” 180°;
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Visione monoculare laterale: per poter avere un campo visivo più ampio, gli occhi delle prede devono “sacrificare” la visione stereoscopica a favore di quella monoculare, piatta e senza profondità. Questo vuol dire che, avendo gli occhi posizionati lateralmente, ognuno dei due avrà la possibilità di ampliare il campo visivo, senza però essere seguito dall’altro. Quindi il cervello non avrà due immagini identiche da sovrapporre ed elaborare, per cui non potrà calcolare in modo preciso la profondità e la distanza degli oggetti, eccetto che per una fetta minima di campo visivo;
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Visione binoculare anteriore: nelle prede la visione stereoscopica o binoculare, quindi quella più precisa, copre solo 70° del campo visivo anteriore. Sebbene siano in realtà pochi, sono più che sufficienti per individuare e distinguere le piante di cui possono cibarsi;
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Presenza di aree “cieche”: alcune prede hanno un muso particolarmente sviluppato in avanti e in basso, come nel caso del cavallo e degli altri erbivori. Questo genera inevitabilmente delle aree “cieche”, cioè delle zone del campo visivo che non possono in alcun modo essere percepite. Questa zona corrisponde ad una piccola fetta triangolare subito davanti al muso dell’animale, che corrisponde proprio alla porzione di campo visivo in cui dovrebbe poter intervenire la visione binoculare.
Per quanto possa sembrare sfavorevole, l’unione di questi aspetti è in realtà vantaggiosa per le prede. Il campo visivo ampio consente di visualizzare i pericoli anche se in quel momento l’animale è impegnato a mangiare, ad esempio.
Al tempo stesso, la visione prettamente monoculare, che non consente la distinzione precisa della profondità, genera nella preda una certa tensione ogni volta che percepisce un movimento o la presenza di un oggetto anomalo, per cui è più pronta a scappare.
Il classico esempio è quello del cavallo, che, nonostante le grandi dimensioni, è pur sempre una preda. Chi di noi ha avuto modo di trascorrere anche solo pochi minuti insieme ad un cavallo, avrà sicuramente notato i suoi occhi grandi e laterali. Se ci posizioniamo lateralmente ad un cavallo, avremo la sensazione che riesca a vederci, senza muovere la testa.
Questo è dovuto proprio alla sua ampia visione monoculare, che gli consente di vedere tutto ciò che si trova ai suoi lati.
Un’altra caratteristica del cavallo, inoltre, è quella di spaventarsi facilmente ogni volta che nel suo campo visivo rientra qualche oggetto sconosciuto o se percepisce un movimento. La ragione del suo timore è proprio l’incapacità di percepire bene le distanze tra gli oggetti, per cui se a pochi metri di distanza un cagnolino ci ha tagliato la strada, il cavallo potrebbe percepirlo come un movimento troppo vicino.
Questo provocherebbe immediatamente una notevole tensione nel cavallo, stimolando il riflesso della fuga. Non è il caso del cagnolino, ma in natura potrebbe salvargli la vita dalla minaccia di un predatore ben più feroce.
La vista nei predatori
Passiamo invece alla vista dei predatori, tra cui rientrano anche i nostri cani e i nostri gatti.
I predatori al momento della nascita hanno gli occhi sigillati, per aprirli e terminare lo sviluppo della vista solo dopo diverse settimane. Inoltre, non riescono a camminare, ma si muovono ondeggiando alla ricerca del calore e della fusa della propria madre. Questo meccanismo serve alle madri per garantirne la sicurezza quando si allontanano per cacciare. Un cucciolo cieco non avrà la possibilità di spostarsi, per cui resterà vicino agli altri cuccioli fino al ritorno della madre.
Al contrario, le prede nascono già in piedi e con gli occhi aperti, per essere pronte a scappare sin dai primi giorni di vita in caso di pericolo.
La vista dei predatori, inoltre, è sviluppata in maniera tale da consentire la localizzazione delle prede in qualsiasi condizione geografica o di luce. Per questo avranno caratteristiche ben precise, ad esempio:
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Vista notturna ben sviluppata: i predatori sono in grado di vedere bene sia durante il giorno che durante la notte, per la presenza di un numero maggiore di bastoncelli. Pensate che nel gatto i bastoncelli arrivano a ben 200 milioni, mentre nell’uomo sono “appena” 120 milioni. Il risultato è un’immagine notturna sui toni del grigio, molto più intensa e dettagliata rispetto alla nostra;
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Occhi posizionati centralmente rispetto al viso: questa caratteristica permette ai predatori di concentrarsi su un punto ben preciso del campo visivo;
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Campo visivo ampio: sicuramente quello delle prede è decisamente maggiore, ma anche i predatori non se la cavano male, anzi. Nei cani e nei gatti il campo visivo può raggiungere i 270°, con valori maggiori soprattutto in quelli a muso schiacciato;
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Maggiore visione stereoscopica: questo vuol dire che gli occhi dei predatori sono in grado di valutare meglio la distanza che li separa dalla preda;
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Vista più sensibile al movimento: i predatori sono in grado di percepire all’istante anche il più impercettibile dei movimenti delle prede, anche a lunghe distanze, per la presenza di un maggior numero di bastoncelli, che servono non solo a vedere al buio, ma anche a percepire i movimenti;
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Maggiore sensibilità alla luce: alcuni predatori, meglio di altri, come nel caso dei felini, sono in grado di regolare la conformazione dell’occhio in base alla quantità di luce presente, grazie a due aspetti, cioè la pupilla flessibile e la presenza del tapetum lucidum. Il gatto è un ottimo esempio di entrambi gli aspetti, presenti comunque anche nel cane. Quando la luce ambientale è molto forte, la pupilla del gatto si restringe fino a diventare una fessura, perché la luce potrebbe rendere l’immagine accecante e poco dettagliata. Al contrario, man mano che ci avviciniamo alla sera, le pupille iniziano ad aprirsi, per far entrare più luce e vedere meglio le immagini.
Le differenze della vista del cane e del gatto
In realtà le differenze sono davvero minime.
Principalmente il cane e il gatto si differenziano per la capacità di modulare la luce e di individuare i colori.
Abbiamo detto che la luce viene modulata dalla pupilla e dal tapetum lucidum. Nel gatto entrambi gli elementi sono decisamente più sviluppati rispetto al cane, per cui saranno in grado di vedere immagini più nitide anche al buio o quando la luce scarseggia.
Inoltre, i cani e i gatti, pur avendo ugualmente una vista formidabile, percepiscono meno dettagli rispetto all’uomo in condizioni di luminosità ottimali. Questo vuol dire che durante il giorno potranno vedere anche il più impercettibile dei movimenti, ma non hanno la capacità di ottenere un’immagine nitida e dettagliata di ciò che si trova a pochi centimetri di distanza.
Anche in questo caso, tutto ciò ha senso se si pensa che i cani e i gatti sono animali notturni, per cui per loro è più vantaggioso poter individuare una preda durante la caccia notturna.
Entrambi gli animali, inoltre, hanno più bastoncelli che coni, al contrario dell’uomo. Per questo motivo, sono formidabili quando si tratta di vedere al buio e di scattare al primo movimento del loro giocattolo preferito, ma non riescono a percepire lo stesso range di colori dei nostri occhi.
Il cane può percepire distintamente il blu-violetto e il giallo. Al contrario, riconosce tutte le sfumature dal rosso all’arancione al verde esclusivamente come diverse dal bianco, ma le confonde con il giallo. Tutti gli altri colori non vengono percepiti.
Il gatto, invece, è in grado di vedere distintamente ben 3 colori, cioè il blu-violetto, il giallo e anche il verde, per cui non percepirà ad esempio il rosso.
La spiegazione a queste “carenze” è da ricercare sempre nella natura. La maggior parte delle prede, infatti, ha un mantello beige, marrone o grigio, per cui a cosa servirebbe ai nostri cani e gatti percepire un bel fuxia intenso?